Problematico uso terapeutico della psilocibina che altera la percezione della musica

 

 

LUDOVICA R. POGGI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 09 ottobre 2021.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE/DISCUSSIONE]

 

La psilocibina, alcaloide naturale analogo indolico[1] della indolalchilammina serotonina o 5-idrossitriptamina (5-HT) contenuta in varie specie di funghi, ma più spesso estratta da Psylocibe mexicana, fu isolata per la prima volta insieme con la psilocina da Albert Hoffmann nel 1958. È una molecola psicotropa ad effetto dislettico, tossica già a basse dosi, in grado di alterare le attività delle reti neuroniche alla base della coscienza e indurre distorsioni ideative e percettive in una forma allucinatoria, spesso caratterizzata dall’apparizione di materializzazioni del pensiero in forme inusitate, fiabesche o mostruose.

Chimicamente, per la sua struttura caratterizzata da un anello benzenico legato ad uno pentanico contenente azoto, può considerarsi un derivato della psilocina o 4-idrossi-N-dimetiltriptamina, in quanto suo estere fosforico. In termini metabolici è l’inverso, perché appena ingerita la psilocibina è trasformata in psilocina, e dunque è la molecola non fosforilata a derivare da quella fosforilata. La sua azione è stata finora principalmente ricondotta all’interazione con tre recettori della serotonina, anche se la maggior parte degli studi ha indagato il legame con il 5HT2A, da molti ritenuto il principale mediatore dell’effetto allucinogeno.

La diffusione come droga, considerata in grado di far entrare in una dimensione mentale diversa (trip), si è avuta insieme con un altro psicodislettico (allucinogeno), cioè la dietilammide dell’acido lisergico (LSD), a partire dalla fine degli anni Sessanta in seno alle comunità hippies (“i figli dei fiori”) e poi tra i gruppi di studenti contestatori delle università nordamericane, con la scusa ideologica di voler combattere la politica e i costumi della società dei consumi, ma di fatto rinunciando a compiere azioni sociali volte al cambiamento e rifugiandosi nell’alterazione del proprio cervello. In altri termini, idealizzando un’immagine ideologizzata della follia – inesistente nella realtà – come “liberazione dalla schiavitù del potere politico” e prendendola ad esempio col rendersi malati di mente.

In alcuni dei luoghi “storici” di questo strano connubio tra idee potenzialmente rivoluzionarie e comportamento edonistico tipico delle società consumistiche, non lontano da dove divi hollywoodiani si autodistruggevano con alcool e droghe, oggi si celebra quel rito pagano spacciato per festa giovanile, a dispetto dei tanti quarantenni presenti, che prende il nome di rave party, nel quale circolano ecstasy (MDMA), DMT, cocaina, eroina, ketamina, nuovi composti di sintesi, associazioni di psicotropi diversi e barbiturati, cioè tutte molecole con tossicità diretta sul sistema nervoso centrale maggiore di psilocibina e LSD.

Il problema principale che si aveva mezzo secolo fa con le “droghe psichedeliche” era costituito dalle morti e dai danni causati dall’alterato funzionamento mentale degli assuntori, come abbiamo riportato in precedenza: “Fra le cause di morte accidentale più strazianti vi erano quelle di giovani che, credendo di poter volare, precipitavano da balconi, finestre, terrazze, o si lanciavano a tutta velocità in mare con l’auto o con la moto da un ponte, certi di poter saltare sul ponte successivo. La polizia rubricava spesso questi casi come suicidi, anche se non si reperivano segni dell’intenzione di togliersi la vita. Automutilazioni, comportamenti bizzarri e condotte che provocavano la morte altrui in stati di esaltazione collettiva, non erano rari. In molti casi la responsabilità degli allucinogeni in eventi criminosi è emersa solo dopo anni, grazie a supplementi di indagine nel corso di inchieste o processi. Negli anni Settanta le autorità statunitensi decisero la proibizione di qualsiasi forma di detenzione o impiego di queste sostanze, allo scopo di facilitare il controllo da parte degli organi di polizia e porre fine a questa mostruosa e silenziosa strage[2].

Negli anni precedenti l’entrata in vigore del divieto, molecole allucinogene sono state somministrate a circa 40.000 persone partecipanti alle ricerche in qualità di volontari. Charles S. Grob[3], pioniere di questi studi, quando il divieto è stato rimosso dalla FDA negli anni Novanta, ha creato presso la UCLA la principale scuola sperimentale per lo studio delle sostanze psichedeliche, alla quale hanno attinto tutti i ricercatori attualmente impegnati in questo campo. Charles Grob ha avuto il merito di compiere studi preliminari di farmacognosia di queste sostanze rivelatisi molto utili e di raccogliere tutto il materiale degli esperimenti involontari e informali, compiuti su centinaia di adepti assuntori dai tre capi carismatici di quello che si chiamò “il movimento psichedelico”: Terrence McKenna, Albert Hofmann e Ralph Metzner[4], testimone e protagonista del tempo degli hippies deceduto nel 2019.

Per un’introduzione allo studio della psilocibina, partendo dai cenni storici sui rituali degli Aztechi con i “funghi magici” detti teonanàcatl, “carne del dio della folgore e della pioggia”, passando per l’avventura dei coniugi Wasson, che parteciparono al rituale segreto dei nativi assumendo i funghi magici e poi dettagliando la farmacognosia della psilocibina, fino ai probabili meccanismi dell’azione farmacologica, si consiglia la lettura del nostro saggio ancora attualissimo: Note e Notizie 14-09-13 Psilocibina: miti e realtà sulle virtù terapeutiche di un allucinogeno.

Attualmente il campo delle ricerche sugli effetti antidepressivi della psilocibina e del suo impiego in altri disturbi psichiatrici è seguito con numerosi progetti in tutto il mondo, e uno di questi studi, condotto da Dea Siggaard Stenbaek e colleghi, e presentato in questi giorni a Lisbona al 34° Congresso ECNP (2-5 ottobre 2021), il più grande meeting al mondo di neuroscienze applicate, è qui di seguito recensito. Il lavoro non è stato ancora pubblicato e il testo non è stato nemmeno consegnato alla rivista per la pubblicazione, dunque non possiamo fornire l’indicazione bibliografica secondo lo stile introdotto dalla nostra società scientifica che la colloca con evidenza nel testo per sottolineare l’importanza del lavoro originale; possiamo indicare le nostre due fonti: Università di Copenaghen e Tom Parkhill presso il 34° Congresso ECNP.

Nel trattamento sperimentale della depressione con psilocibina il farmaco è generalmente somministrato con un supporto psicologico e associato all’ascolto della musica. Studi precedenti[5] hanno dimostrato che l’LSD incide sull’elaborazione cerebrale dell’informazione acustica generata dalla musica, come si prevedeva dai racconti di assuntori che riferivano di “esperienze psichedeliche” legate all’ascolto della musica sotto l’effetto della droga. Ora, per la prima volta, il gruppo di ricercatori danesi di Dea Siggaard Stenbaek ha accertato e dimostrato che anche la psilocibina è in grado di alterare la neurofisiologica elaborazione cerebrale dei dati acustici codificati dalla coclea e, in particolare, incide sul modo in cui la musica evoca emozioni.

In questo studio 20 volontari, 10 donne e 10 uomini, sono stati valutati mediante test circa la loro risposta emozionale alla musica prima e dopo aver assunto psilocibina; 14 dei partecipanti sono stati valutati anche per la risposta alla ketanserina, un farmaco ad azione anti-ipertensiva comunemente usato quale “controllo” negli studi sugli psicodislettici. La priorità di somministrazione tra ketanserina e psilocibina è stata decisa mediante selezione random, naturalmente seguendo lo schema ordinario degli studi farmacologici, e sono stati registrati i resoconti riferiti dai volontari sulle esperienze vissute con ciascuna molecola.

Al picco degli effetti di ciascun composto i partecipanti ascoltavano un breve programma di musica e stimavano la propria reazione emotiva. Lo studio oggettivo della risposta all’esperienza musicale è stato effettuato mediante l’impiego della Geneva Emotional Music Scale. L’ascolto, della durata di circa 10 minuti, comprendeva le Variazioni n°8 e n°9 di Elgar e il Laudate Dominum di Mozart. Dea Siggaard Stenbaek dell’Università di Copenaghen, che ha guidato il gruppo di ricerca, ha così commentato il risultato: “Abbiamo trovato che la psilocibina marcatamente rinforzava la risposta emozionale alla musica, quando paragonata alla reazione prima di prendere la droga. Nella misurazione della scala che abbiamo adottato, la psilocibina accresceva la risposta emozionale alla musica del 60%. Questa risposta era anche più grande quando paragonata alla ketanserina. Infatti, noi abbiamo trovato che la ketanserina riduceva la risposta emozionale alla musica”[6].

Continuando il suo commento, Dea Siggaard Stenbaek ha dichiarato: “Questo dimostra che la combinazione di psilocibina e musica ha un forte effetto emozionale, e noi crediamo che questo sarà importante per l’applicazione terapeutica dei farmaci psichedelici, se saranno approvati per l’uso clinico”. E ha poi osservato: “È interessante che una musica da noi usata, la famosa «Nimrod» di Elgar (la variazione numero 9), descrive il suo amico Augustus Jaeger. Jaeger aveva incoraggiato Elgar a scriverla per uscire dalla depressione”[7].

Il valore di questa ricerca consiste nella prima dimostrazione che la psilocibina, in quanto all’elaborazione psichica della percezione della musica, si comporta in modo simile alla dietilammide dell’acido lisergico, perturbando i processi fisiologici e, in tal modo, ottenendo una risposta emotiva più accentuata. Che questo effetto sia da considerarsi in ogni caso positivo e utile nel trattamento della depressione è tutto da dimostrare.

La tesi sostenuta dagli autori di questo studio sulla validità farmacoterapeutica della psilocibina si basa su un sillogismo che denota mancanza di conoscenza della neurobiologia dei disturbi depressivi e scarsa competenza psichiatrica nella clinica della depressione nelle sue varie forme. In pratica, Dea Siggaard Stenbaek e i suoi colleghi dicono: nella depressione si ha anaffettività, la psilocibina accresce le reazioni emotive alla musica e, dunque, somministrando psilocibina e musica si cura la depressione.

Innanzitutto, una vera anaffettività associata alla sensazione soggettiva definita tristezza vitale si ha solo nelle forme gravi di Disturbo depressivo maggiore, un tempo chiamato Depressione endogena perché la differenza dalle forme reattive rivela in questi pazienti una preponderante base genetica o epigenetica; poi c’è da osservare che assimilare affetti ed emozioni e confonderli, solo perché si è abituati a questa equivalenza nella ricerca animale, è un errore: un errore particolarmente grave in materia di clinica degli stati depressivi.

Gli affetti sono prevalentemente mediati da prestazioni toniche di reti globali, mentre le emozioni sono reazioni immediate a circostanze che neurobiologicamente consistono in gradi e forme diverse della fight or flight response, ossia preparazione dell’organismo ad affrontare l’imprevisto o vere e proprie minacce. Le emozioni sono concepite e misurate, come nel caso della scala impiegata nello studio, sulla base di effetti neuroendocrini e neuroviscerali dovuti all’attivazione dei sistemi neuronici dello stress.

La maggior parte delle persone depresse fa rilevare e registra soggettivamente alterazioni qualitative della propria emotività, ma quantitativamente presenta un’accentuazione delle risposte emotive associate ad allarme, allerta, paura, timore, eccetera. In alcuni casi, il primo indice di una depressione non ancora diagnosticata è il commuoversi facilmente o addirittura piangere per futili motivi. Un’emotività esagerata, associata in genere a povertà di affetti espansivi (allegria, gioia, oblatività) e a mancanza di fiducia in sé stessi e negli eventi precede spesso un quadro depressivo conclamato, e non di rado lo accompagna fino alla guarigione.

La maggior parte dei pazienti depressi o è giunta al quadro psicopatologico attraverso lunghi periodi di stress (depressione da stress) o attraverso circoli viziosi ansiogeni innescati da traumi, lutti o perdite morali e materiali. In tutti questi casi è presente il sintomo del dolore della psiche, convenzionalmente detto ansia o angoscia, che consiste in un’eccessiva e costante attivazione emotiva, che spesso disturba l’efficienza delle prestazioni cognitive e rende la persona facile ad oscillare tra l’irritazione aggressiva e il timore inibitorio. Queste persone non hanno certo bisogno di accrescere la propria reattività emotiva, ma piuttosto di ritrovare l’equilibrio tra sistemi intracerebrali e recuperare i livelli fisiologici dei parametri molecolari, cellulari e dei sistemi neuronici danneggiati dalla fisiopatologia della condizione depressiva.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Ludovica R. Poggi

BM&L-09 ottobre 2021

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Come l’armina, la bufotenina e la dietilammide dell’acido lisergico (LSD).

[2] Note e Notizie 14-09-13 Psilocibina: miti e realtà sulle virtù terapeutiche di un allucinogeno.

[3] Charles S. Grob sta ora studiando l’allucinogeno ayahuasca e la MDMA.

[4] Fu professore emerito di psicologia a San Francisco presso il California Institute of Integral Studies e contribuì a mantenere viva in città la sottocultura dei movimenti che rivendicavano il diritto di essere inseriti nella società col ruolo di “non inseriti”, veicolando nel terzo millennio stili di vita e di abbigliamento che altrove sono solo un lontano ricordo, che riemerge dalle immagini delle teche televisive.

[5] Kaelen M., et al. LSD enhances the emotional response to music. Psychopharmacology 232, 3607-3614, 2015.

[6] ECNP Congress in Lisbona, trascritto da Tom Parkhill per Neuroscience News, 5 ottobre 2021 (traduzione dell’autrice di questo articolo).

[7] V. nota “6”.